La libertà di informazione alla Gazzetta

gazzettaEra il 1968 e per il nostro paese, e non solo, si apriva un periodo tanto caldo quanto complesso e controverso: periodo di agitazioni studentesche con frequenti scontri tra polizia e studenti, tra i quali il più celebre rimane quello a Roma, presso la facoltà di Architettura di Valle Giulia. Uno dei più geniali e allo stesso tempo discussi intellettuali italiani, Pierpaolo Pasolini, commentò quell’avvenimento con una poesia: “Il PCI ai giovani", che scatenò subito un'aspra polemica. In essa Pasolini in realtà contrapponeva studenti e poliziotti come due categorie di ‘poveri’, rinchiusi nei rispettivi ghetti (gli atenei e le caserme), e che il Potere metteva l’uno contro l’altro. La polemica scaturì dal fatto che gli studenti (“paurosi, incerti, disperati”) all’atto pratico erano in molti casi “figli di papà”, pariolini, in lotta (pur “dalla parte della ragione”) con i poliziotti, sottoproletari malpagati, veri poveri. E dunque la conclusione “In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, amici” venne usata per dar risalto alla contraddizione di chi si fa portavoce di una battaglia senza sentire minimamente suoi i principi che quella battaglia dovrebbero animare.
A questo punto voi direte, ma cosa c’entra questa storia con i noti fatti accaduti alla nostra amata Juventus? Se si accostano semplicisticamente gli avvenimenti presi in considerazione, nulla, ma se si va ad analizzare quanta distanza può esserci tra qualche contestatore e i motivi di una contestazione, tanto.
A 42 anni da quei fatti, nonostante la verve politica dei nostri concittadini si sia notevolmente affievolita (purtroppo o per fortuna), c’è ancora motivo di protestare. E’ infatti di questi giorni il dibattito sulla cosiddetta “legge bavaglio” inerente all’uso delle intercettazioni e sugli effetti che questa legge avrebbe sulla libertà d’informazione. Il 9 Luglio 2010 c’è stato il grande sciopero dei giornalisti, al quale hanno partecipato anche Corriere della Sera, Repubblica e, udite udite, Gazzetta dello Sport, la quale il giorno prima, 8 Luglio, spiegava ai suoi lettori il perché di questa adesione nella rubrica “Altri mondi” a cura di Giorgio Dell'Arti. Innanzitutto ci spiega che "il disegno di legge – ricordiamo – limita fortemente il potere d’indagine dei magistrati, vietando in troppe circostanze l’uso delle intercettazioni telefoniche. E riduce per i giornali drasticamente la possibilità di riferire intorno alle inchieste giudiziarie. Secondo la Federazione Nazionale della Stampa, la legge in questione – soprannominata “legge bavaglio – è un attacco alla libertà di stampa, di dimensioni mai viste prima nella storia del Paese". Su questo si può essere più o meno d’accordo, non sta a me alimentare il dibattito sulla questione. Dopo questa premessa si spiegano in cinque risposte ad altrettante domande le ragioni della protesta. Ma alla risposta numero 3, c’è da sobbalzare dalla sedia. Si legge: "La protesta contro una legge balorda non deve far dimenticare che nell’uso delle intercettazioni ci sono state parecchie storture. I pm non le hanno sempre adoperate con il criterio di saggezza che il buon senso vorrebbe. C’è un punto chiave, che potremmo prendere dalla legislazione inglese: l’intercettazione non può essere un elemento di prova, perché dire qualcosa di terribile non dimostra ancora che si è fatto qualcosa di terribile. Le intercettazioni devono dunque essere usate per decifrare un ambiente, avere informazioni, farsi orientare nel ginepraio malavitoso. Tutto però da supportare poi con riscontri obiettivi". Bellissime parole tutte condivisibili. E quattro anni fa? Perché non si sono chiesti se c’erano “storture”? Perché non si ci è interrogati sull’operato dei PM? Perché allora quelle intercettazioni sono state prese come prove provate di un’ipotesi accusatoria? E i riscontri obiettivi dove sono? Noi juventini li cerchiamo da quattro anni ma finora non ne abbiamo ancora trovati, in special modo sul campo. Evidentemente quattro anni fa la legislazione inglese era ignota nel nostro paese. Ma lo stupore di uno juventino raggiunge l’apice alla risposta sul ruolo dei giornali: "Il potere politico deve disinteressarsi dei giornali, i quali devono scrivere quello che vogliono, quando vogliono e come vogliono. Con l’unico obbligo, sanzionabile duramente, di non mentire. Al di fuori di questo, non esiste libertà di stampa. Come sa, io sostengo che anche la legge sulla privacy è un attentato alla libertà d’informare. I giornali si occupano della privacy di personaggi che, per una ragione o per l’altra, sono o diventano di interesse pubblico. Ostacoli in questa direzione non possono essercene. E la tutela del segreto istruttorio è un problema della procedura giudiziaria, non del giornalista che ha il dovere, nel trattare la sua materia, di essere irresponsabile". Quindi la legge sulla privacy è una limitazione della libertà d’informazione e i giornalisti hanno il dovere di essere irresponsabili, magari pubblicando materiale coperto da segreto istruttorio all’insaputa degli indagati. E questa sarebbe la libertà di informare per la Gazzetta? Non posso che dissentire, prendendo atto che almeno su questo secondo punto analizzato la rosea si è dimostrata coerente con la linea tenuta nel 2006 rispetto al primo.
Alla luce di tutto ciò si può dire che, a distanza di 42 anni, seppur con temi e modalità diverse, nel nostro paese non tutte le proteste riescono col buco. D’altronde, anche nel 2006 c’era stato un “Pasolini” (sicuramente molto diverso dallo scrittore, ma come lui armato di amore per la verità, onestà intellettuale e di uno spiazzante anticonformismo, qualità molto rare nel nostro paese) che, andando contro la grancassa mediatica imperante, aveva detto: "Una sentenza pazzesca, e non perché il calcio sia un ambiente pulito. Una sentenza pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome. Una sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna. E mi chiedo: cui prodest? A chi giova il tutto? Perché tutto è uscito fuori in un determinato momento? Proprio quando, tra Laziogate di Storace, la lista nera di Telecom, poi Calciopoli, poi l’ex Re d’Italia ed ora, ultimo ma non ultimo, la compagnia telefonica Vodafone che ha denunciato Telecom per aver messo sotto controllo i suoi clienti. Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?". Viva Enzo Biagi e viva la libertà d’informazione autonoma e trasparente che tiene conto dei diritti costituzionali di tutti. Cattivi di turno compresi.

 

(Si ringrazia Angeloribelle per alcuni chiarimenti di natura filologica)