Mancini, che amicone

ManciniI fatti: qualche giorno fa Blanc accusa velatamente l'Inter di aver "corteggiato" Nedved durante una fase delicata della trattativa tra Pavel e la Juve. Moratti smentisce "qualsiasi contatto".
Pochi giorni dopo Mancini smentisce il suo presidente e dichiara che lui ha chiamato Nedved. Ecco una parte dell'articolo apparso su Tuttosport:
"Io e Pavel siamo stati compagni di squadra per tre anni, ci conosciamo bene e siamo amici. Forse qualcuno se l’è dimenticato... L’ho cercato per avere informazioni su un giocatore ceco, Kovac. In quei giorni lui aveva casual­mente detto di voler smettere di giocare e gli ho chiesto se era vero. E’ stata una telefonata personale nella qua­le non c’era nulla e che non ha nulla a che fare con tutto quello che si è scritto". Una chiacchierata apparente­mente senza secondi fini ma, in questi casi, a pensare male non sempre è peccato. Soprattutto per la tempisti­ca del contatto e per i malumori che può creare in un am­biente già abbastanza incandescente..

Dunque, Mancini ci ricorda che che è stato per tre anni compagno di squadra, nella Lazio, di Nedved e che gli è amico. Dei comuni trascorsi alla Lazio nessuno aveva dimenticato. Del fatto che siano amici molti avevano dubitato, soprattutto, dopo l'antefatto dello scorso anno.

Ricordiamo insieme: è il 12 febbraio 2006 e si gioca Inter-Juventus. Alla fine la Juve si impone per 2 a 1 grazie ad un gol di Del Piero, su punizione, conseguente ad un fallo fischiato per un intervento "scorretto" ai danni di Nedved. Nel dopogara, alla Domenica Sportiva, Mancini dichiara: "Pavel e` un simulatore, si butta sempre. Prende un sacco di punizioni e tutti gli arbitri ci cascano. Si prende dieci punizioni a partita così, e tutti abboccano". Chiusura sull’arbitro, assolto da ogni presunta colpa: "L’arbitro e` stato bravo, niente da dire a parte l’episodio di Nedved, ma non ci e` cascato solo Paparesta, ci cascano tutti".

Mancini amico di Nedved? Figuriamoci se non fosse stato amico o se, anzichè una punizione, avessero fischiato un rigore a favore del "suo amico" Nedved.

Giova ricordare che Nedved, da gran signore, non ha mai replicato a Mancini e che queste dichiarazioni hanno avuto risalto per giorni sulla stampa: Nedved, all'improvviso, veniva presentato come un "simulatore". Da quel momento in poi i falli fatti su Nedved sono stati più tollerati. Ho visto entrate da "killer" sulle gambe del ceco e gli autori accusare Pavel di essersi "buttato". Le parole di Mancini avevano creato "l'alibi" per molti. Nedved, dopo ogni partita, lascia il campo sempre più segnato dai lividi.

Che strano concetto dell'amicizia deve avere il signor Mancini Roberto. Inoltre va segnalato che mai, nei tre anni passati insieme alla Lazio, Mancini aveva accennato alla "presunta" caratteristica di Nedved di "buttarsi", anzi, sia lui che il suo amico Sinisa avevano gran piacere nel calciare le punizioni che Pavel si guadagnava. Ma come se le guadagnava quelle punizioni che, spesso tradotte in gol, contribuirono a far vincere uno scudetto al signor Mancini? Sempre simulando?

Pavel ha un gioco fatto di "strappi rapidi" e grande velocità. Chi ha giocato al calcio sa che "essere anche solo toccati", quando sei in corsa veloce, provoca cadute dovute alla perdita dell'equilibrio e della coordinazione. Lo stesso "tocco" se fatto nei confronti di chi "passeggia" in campo ha effetti meno evidenti.

"Scagli la prima pietra chi è senza peccato". Mancini doveva, in quel caso, tenere le sue pietre in saccoccia. Se Nedved, a detta dello Jesino, si "procura punizioni" buttandosi, lui quando giocava si procurava i rigori "autosgambettandosi", con classe.

Ho ancora indelebili davanti gli occhi le immagini di un Parma-Lazio, giocata in notturna, sbloccata grazie ad una "prodezza" di Mancini. No! non quella del colpo di tacco. Mi riferisco ad altra, quella nella quella Mancini si allungò la palla sulla parte sinistra dell'area di rigore del Parma affiancato da un avversario e, con classe sopraffina, portò il piede sinistro dietro il polpaccio destro "autosgambettandosi". L'arbitro ci cascò, come dice Mancini, e assegnò il rigore. La soddisfazione di Mancini fu evidente ed esente da qualsiasi "forma di pentimento" per l'atto sleale. Solo la moviola rivelò, in modo chiarissimo, l'inganno.

Ancora una volta: nessuno è senza peccato, nessuno può scagliare la prima pietra, neppure Mancini.