Dolcezza e severità

gianfeliceChi solo pochi mesi fa si era permesso di dare del deficiente a un nostro redattore che, durante la presentazione del libro di Paolo Bergamo Sono morto una notte di luglio, gli aveva ricordato dei contatti di suo padre con l'arbitro Nucini, è tornato a parlare.
L'udienza di ieri a Napoli passerà alla storia come quella in cui la difesa di Luciano Moggi ha chiesto e ottenuto di fare entrare nel dibattimento su Calciopoli le decine e decine di telefonate "scomparse", quelle in cui suo padre, e certamente non solo lui, banchettava telefonicamente sulle griglie degli arbitri manco fossero a Pasquetta.
Lui è Gianfelice Facchetti, e a scanso di equivoci facciamo subito una premessa: la difesa di suo padre - più che della sua memoria - è assolutamente comprensibile e umanamente sacrosanta, oltre ad essere un suo pieno diritto. Ciò che stona, semmai, è che Massimo Moratti, forse più preoccupato del Cip6 che del Cipe, dopo averne tessuto le lodi definendolo dolce e severo nella sua incapacità di prestarsi a sondare la riserva dell'A.I.A. per stanare qualche arbitro amico, in realtà lo avesse lasciato diventare, se non trasformato con una regolare investitura, in una sorta di Meani nerazzurro. Ciò che stona è che il presidente figlio d'arte Moratti non abbia avuto remore nel mandare avanti Facchetti a metterci la faccia (e la voce). Su questo dato oggettivo, credo, il figlio di Giacinto Facchetti farebbe bene a porsi qualche domanda, prima ancora di voler dare delle risposte.
La Gazzetta - e chi sennò? -, da parte sua, non ha perso tempo a porgere un pulpito istantaneo per dare voce allo sdegno di Facchetti jr., per quella che l'avvocato Trofino ha definito ieri "la madre di tutte le telefonate".
Certo quattro anni fa una conversazione del genere che avesse avuto per protagonisti Bergamo e Moggi, anziché Bergamo e Facchetti, come minimo sarebbe stata commentata sulle prime pagine dei giornali da Marione della curva sud e Franco Zeffirelli. Oggi no, oggi non interessa più cosa si dicessero quei due al telefono. Oggi, forse affranti per gli eccessi forcaioli di allora, i Palombi, gli espertoni dello scandalo e i figli dei diretti interessati fanno l'analisi logica delle frasi, come se non sapessero che in quella telefonata, a pronunciare il nome di Collina, del numero 1, è sì Bergamo, solo che il giorno prima lo stesso Giacinto, quello che non telefonava solo ai designatori ma anche agli arbitri, aveva esortato Mazzei - anche lì dolce e severo, ci mancherebbe - a taroccare un sorteggio e chiesto con ventiquattr'ore di anticipo i nomi dei guardalinee di Inter-Juventus.
La differenza di oggi, rispetto al 2006, è che ci sono i rompicoglioni come noi, e non solo, a vigilare sulla disinformazione più sfrenata di chi ha pensato, e pensa ancora, che il prezzo dei propri sogni possa passare anche attraverso la distruzione incondizionata di quelli degli altri. Quella filosofia del fine che giustifica i mezzi che ci hanno rinfacciato per anni, cavalcata come una baldracca brandendo la morale e l'onestà come caratteristiche innate in se stessi, manco fossero, la morale e l'onestà, le pupille dilatate durante un orgasmo.
La partita è tutt'altro che chiusa. E come dico da sempre, al rispetto per i morti preferisco di gran lunga il rispetto dei vivi per i vivi.

Che l'arbitro dia il fischio d'inizio, dunque. Collina o chi vi pare.