Conte paga l'equivoco Stellini

Giustizia sportivaNon abbiamo ancora le motivazioni della sanzione di quattro mesi inflitta dal Tnas ad Antonio Conte (non chiamiamolo sconto: il totale doveva essere zero, se è diventato quattro è una sanzione, senza se e senza ma): però credo che si possano avanzare plausibili ipotesi che i guai di Conte si fondino su un equivoco, quello della posizione di Cristian Stellini e dei suoi rapporti col mister.
Questo alla luce della considerazione che la foglia di fico Mastronunzio (quella muleta che aveva spinto un inferocito Sandulli a tentare di incornare il tecnico salentino con un quasi-illecito) è miseramente appassita nelle mani della Figc: era il pilastro su cui si reggeva la sentenza della Corte di Giustizia Federale e logica avrebbe voluto che, al suo dissolversi, l'assoluzione diventasse atto dovuto; ma così non è stato.
Anche su presunte riunioni nello spogliatoio (pur senza il 'gran rifiuto' di Mastronunzio) non si potrebbe fare grande affidamento: già per Novara-Siena la cosa era caduta seppellita da una valanga di testimonianze contrarie, e anche qui a farne cenno, nel corso delle sue rivelazioni ad orologeria, è stato il solo Carobbio, e nessun altro giocatore, coinvolto o meno in eventuali aggiustamenti, ne ha mai parlato.
Ma c'è Stellini: infatti la CGF ha puntato il dito sul patteggiamento di Stellini, "circostanza, quest'ultima, molto significativa atteso che Stellini è un fidato collaboratore di Conte, tanto da averlo seguito in tutte le squadre in cui l'odierno appellante ha ricoperto il ruolo di capo allenatore", circostanza questa vera solo in parte, perché verificatasi solo a Siena e alla Juve.

Ripercorrriamo brevemente la carriera di Stellini: dopo l'esordio a 18 anni nel Novara (dalle cui giovanili proveniva), nel corso di una carriera durata 18 anni, aveva girovagato per più squadre, rimanendo in ciascuna di esse due o tre anni: dopo il Novara, Spal, Ternana, Como, Modena, Genoa e infine, dal 2007 al 2010, Bari erano state le tappe del suo iter calcistico. Al Bari arrivò dunque nel 2007 e fu lì che incrociò Antonio Conte, reduce dalla sua prima esperienza come allenatore titolare (ad Arezzo, dopo una stagione come vice di De Canio a Siena), un Conte che subentrò a dicembre a Materazzi, reo di aver subito un fragoroso Ko nel derby col Lecce. Stellini in quello spogliatoio non rivestiva alcun ruolo particolare (era lì da pochi mesi), non era capitano (la fascia era di Gillet) né altro e i suoi rapporti con Conte erano quelli che normalmente intercorrono tra un qualsiasi giocatore e il suo allenatore, come ha avuto occasione di 'testimoniare', in un intervento telefonico ad 'Azzurro Italia' su Antenna 3, Stefano Guberti (un'altra potenziale vittima del pentitismo in direzione Masiello): "Io sono arrivato nel mercato di gennaio, in una squadra che lavorava assieme già da un anno e mezzo con Conte, un ambiente già consolidato: non ho avuto il tempo per capire tutte le dinamiche, per esempio chi contava di più o aveva più voce in capitolo. Ma il rapporto che avevano i più grandi con Conte era di rispetto, perché Conte è uno che si fa rispettare, ma che dà anche rispetto: con Stellini un rapporto normale tra giocatore e allenatore; perché presumo che a quel tempo Stellini non avesse ancora programmato di lavorare poi con Conte, tant'è che, se non sbaglio, ci è andato dopo due anni, quindi era un rapporto normale che puoi avere con un allenatore". Questo perché a qualcuno non salti in testa (i media si son già portati avanti col lavoro) di fare illazioni a riguardo del filone di Bari.
Dopo la conquista della promozione in A al termine della stagione 2008-2009 Stellini proseguì la sua carriera di difensore nel Bari; se ne andò invece Conte, che cominciava a sentire profumo di Juve, dove il popolo bianconero già lo chiamava (e lui sarebbe venuto di corsa) su quella panchina che non faceva mistero essere l'oggetto del suo desiderio e che sarebbe però poi andata a Ciro Ferrara. Lasciato a piedi dal primo treno per Torino, Antonio a settembre andò all'Atalanta a sostituire Gregucci, reduce da quattro sconfitte nelle prime quattro giornate di campionato, e portandosi come vice Antonio Toma, che era già stato suo collaboratore atletico a Bari, e che poi sarebbe uscito dai radar di Conte per intraprendere la carriera di allenatore. Durò solo 13 giornate la permanenza del salentino sulla panchina orobica: fu una parentesi sfortunata, per i rapporti tumultuosi tra il mister e Cristiano Doni, l'(ex) idolo di Bergamo, con la conseguenza che, nel momento in cui i risultati furono insoddisfacenti, la piazza e la stessa dirigenza si scagliarono contro Conte che salutò la compagnia ("In quel momento non ero l'uomo giusto per l'Atalanta - avrebbe raccontato poi -. Personalmente sono stato molto onesto a capire che non c'era tempo per portare avanti il mio progetto e che le cose sarebbero andate a finire male: tutta la colpa sarebbe ricaduta su di me e non mi pareva giusto. Quello che mi lascia tranquillo è che quando lavoro come dico io, quando i giocatori mi appoggiano nella mia idea di gioco e la società tutela il progetto, le cose hanno maggiori possibilità di andare bene. Ho preferito dimettermi rinunciando anche a tanti soldi, ma alcune situazioni erano in conflitto con le mie idee").
La stagione successiva Conte approdò a Siena, dove si portò come vice Angelo Alessio, che Conte aveva conosciuto nella comune militanza alla Juve e che non viveva un momento professionalmente fortunato come allenatore. Attorno a loro gravitavano Stellini (collaboratore tecnico), Savorani (allenatore dei portieri) e D'Urbano (preparatore atletico). E Conte, oltre ad Alessio, avrebbe poi portato con sé a Torino anche Stellini, sempre nella veste di collaboratore tecnico.

Fin qui i dati, che già non bastano a farlo definire 'fidato collaboratore': ma a smentire l'attributo fidato c'è proprio l'atteggiamento dello stesso Stellini a Siena, quale si appalesa nella questione relativa al mancato permesso concesso a Carobbio per assistere la consorte partoriente. Carobbio, una volta insortogli il problema di dover lasciare il gruppo per raggiungere la moglie, non si rivolge direttamente a Conte, forse conoscendone il carattere inflessibile con tutti, con se stesso in primis, quando c'è di messo 'il lavoro' (ne è testimoninaza il suo comportamento in questi momenti per lui certamente più che difficili psicologicamente, quando comunque guida a Vinovo la squadra con l'intensità di sempre); si rivolge a Stellini, figura intermedia nello staff, per averne un consiglio o forse sperando facesse da tramite; Stellini ben conosce anche lui Conte, anche nel rapporto giocatore-allenatore e, nella convinzione che molto difficilmente dal mister potesse mai arrivare il via libera, gli dà un consiglio non certo da fedelissimo del suo superiore; gli suggerisce di compiere un sotterfugio per evitare di esporsi ad un diniego, dandogli l'imbeccata di fare qualcosa di poco limpido, un vero e proprio espediente che sicuramente, a posteriori, a Conte avrebbe provocato una terribile arrabbiatura: "Non andare a dire niente a Conte, scappa da tua moglie e fagli trovare la situazione del tutto definita"; poi Carobbio non avrebbe osato tanto, non sarebbe partito, con tutto quel che ne è conseguito. Ma certo l'atteggiamento tenuto dal collaboratore in questo frangente non evidenzia un rapporto di piena confidenza, né di consonanza di sentire in termini di condotta, nemmeno per una questione di rilevanza senz'altro nemmeno lontanamente paragonabile, quanto a gravità, ad un'eventuale combine. Si può dunque credere che Stellini avrebbe osato parlare al mister di essere a conoscenza che qualcuno aveva messo in piedi una combine per taroccare la partita? Certo che no, la cosa ha un livello di improbabilità almeno pari a quello, avvalorato dalla CGF, del contrasto tra "il tenore motivazionale, quasi enfatico, del discorso tenuto da Conte nel corso della riunione tecnica svoltasi nel pre-gara di Novara-Siena con la fredda comunicazione che era stato raggiunto un illecito accordo per il risultato di pareggio". A maggior ragione per il fatto che già dalla metà di aprile per Conte si vociferava si potesse riaprire la porta per la Juve, e un approccio del genere col mister era senz'altro il peggior viatico di cui Stellini potesse dotarsi. Stellini al momento tace, ha detto che dirà la sua a vicenda conclusa: ha patteggiato la pena, facendo alcune ammissioni ma escludendo la responsabilità di Conte; afferma di aver agito "di mia iniziativa" e fa il nome di Carobbio come tramite con alcuni giocatori dell'AlbinoLeffe (in cui 'Pippo' in passato aveva militato e con i quali aveva perciò una certa confidenza).

Ma, a questo punto, per la 'giustizia' sportiva arriva come 'prova' il 'non poteva non sapere' che, oltre a non essere una prova, è una pura illazione, vieppiù radicata (oltre che dal pilastro Mastronunzio miseramente crollato) dal fatto che Conte è definito un accentratore (e quindi, in ragione della personalità di Conte, "Ipotizzare che i componenti dello staff tecnico o la squadra prendessero decisioni a insaputa di Conte non è oggettivamente credibile"). Perché accentratore? Perché così l'ha definito Giorgio Perinetti, il quale poi a Sky Sport 24 ha peraltro precisato la portata delle sue affermazioni: "Mah...io voglio dire solo questo: a me sono state fatte le domande quando sono stato chiamato in Procura federale, ho risposto; quello che ho risposto, in merito a questo, si riferiva a rapporti tra Conte e i calciatori, al suo modo di gestire il calciatore, quindi non era certamente riferito ad un suo modo di sapere tutto e tutto. Io so solo che la risposta che ho dato era riferita a dei rapporti con i calciatori, perché essendo un allenatore che curava molto il rapporto con la squadra, in primo luogo aveva oltre all'aiuto che potevo dargli io, quello dei collaboratori. Questa è la risposta che ho dato io. Poi quale significato o interpretazione sia stata data, questo non lo so. La mia risposta era riferita a episodi particolari, molto determinati, molto circoscritti". Fatti circoscritti, come per esempio il fatto che non avrebbe permesso di decidere, o di intromettersi, a nessun altro, non a Stellini né ad eventuali dirigenti su faccende come la concessione di un permesso del tipo di quello richiesto da Carobbio; non certo la gestione di una combine che non combaciava affatto con discorsi appassionati come quello pre-Novara-Siena o con le solenni reprimende dopo sconfitte come quella col Piacenza: Antonio è uno che all'esterno difende sempre i suoi giocatori, (è successo sia a Siena che a Torino) ma nelle sedute di allenamento li sferza.
In ogni caso, l'affermazione che Conte sia un accentratore tout court, seppur avallabile per quanto riguarda gli aspetti della gestione del gruppo in termini fisici e tecnici (anche alla Juve è sua l'unica parola, in base a ciò che gli allenamenti gli dicono sulle condizioni dei singoli, su chi deve essere scendere in campo, o deve essere convocato, o addirittura non merita di stare in rosa; ma è giusto così, sulla via dell'allenatore manager stile Premier League), è un puro assioma della 'giustizia' sportiva, un'asserzione rimasta del tutto priva di dimostrazione, tanto per riciclare le parole della CGF che dice che il fatto che Carobbio sia un bugiardo incallito "costituisce nulla più di una asserzione della difesa dell'odierno ricorrente, rimasta del tutto priva di dimostrazione". Orbene, vi sono, solo nel procedimento che riguarda Conte più prove del fatto che Carobbio menta (in aggiunta al giudizio severo espresso su di lui dal giudice Salvini, giudizio che l'avvocato Bongiorno ha ricordato nella sua arringa: 'un dichiarante che miscela verità e menzogna per alleggerire la sua posizione') che non del fatto che sia un accentratore in senso assoluto, uno che tutto sa e tutto vede, l'occhio di un dio, e nulla vi sia che non possa non sapere: chissà quante faccende di spogliatoio, screzi, malignità e quant'altro, a lui come ai suoi colleghi giornalmente sfuggono.

'Non poteva non sapere' in termini epistemologici si potrebbe dunque definire un postulato, ossia una teoria ad hoc accettata solo per la sua utilità, in quanto introdotta per dimostrare qualcosa che non è possibile dimostrare altrimenti. Perché il grosso difetto della 'giustizia' sportiva, e talora anche di quella ordinaria, è che gli organi preposti al giudizio (in quella ordinaria invece potrebbe essere il caso del pm) si innamorino del teorema iniziale e lo chiudano in una specie di fortezza inespugnabile, chidendo occhi e orecchie a tutto va in direzione contraria al primo assunto; con ciò andando contro a quello che è lo scopo che dovrebbe avere qualsiasi procedimento, che non è (necessariamente) la condanna dell'accusato iniziale, ma la ricerca della verità. Questa grande sconosciuta, nel caso Conte come in Farsopoli.

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