E' arrivata la sentenza di Palombo: una giustizia molto sportiva?

PalomboCome si è potuto rilevare in molti autorevoli commenti già da prima delle sentenze, finalmente ci si accorge che qualche cosa non va nella giustizia sportiva ed è significativo che questo avvenga per i deferimenti di Conte, Bonucci e Pepe.
Sembra quasi che in questi casi confluiscano, oltre alle presenti, più antiche consapevolezze, non manifestabili apertamente, sul carattere arbitrario dell'operato degli organi di quella cosa indefinibile, che tutti chiamano Giustizia Sportiva.
Ed i rimedi proposti in modo assai vago non sempre convincono. Dire "Riforme" può essere, infatti, uno slogan privo di contenuti, se non si hanno chiari quali siano i problemi di questo organismo cronicamente malato.
Essenzialmente sono due: l'arbitrarietà e l'inadeguatezza.

Perché arbitrario.
Prendiamo il caso del giorno. L'Autorità Giudiziaria di Cremona e di Bari riversa sulla Giustizia Sportiva due inchieste molto serie sul mondo delle scommesse con incontri più o meno taroccati, una buona occasione per spazzare via definitivamente dal calcio chi dall'interno ne mina la credibilità.
La Procura Federale, di suo, ci mette un lavoro ai fianchi nei confronti degli indagati più compromessi, premiati per l'ottenuta "collaborazione" con pene irrisorie buone per loro e con una discutibile patente di credibilità buona per la Procura Federale, il cui risultato è il coinvolgimento dei tesserati della Juventus. Gli atti rimbalzano tra la giustizia sportiva e quella penale, con l'accertamento sostanziale in sede penale della loro irrilevanza ed il loro utilizzo invece per il deferimento in sede sportiva.
La stessa causa, l'assenza di riscontri alle dichiarazioni dei "pentiti", in un caso porta alla cestinazione, nell'altro al giudizio disciplinare.
Si aggiunga la scelta dell'agenda per il processo sportivo, che inserisce questo troncone posticcio di processo nello stralcio da definire prima dell'inizio della stagione calcistica, e la Juve si trova nella posizione solitaria di vedersi azzoppata squadra e staff tecnico. Per altre squadre si vedrà più avanti, sempre che si arriverà a qualcosa di paragonabile e che la labile memoria dell'opinione pubblica sia in grado di fare confronti su eventuali disparità di trattamento.
Da una cosa seria nasce così un secondo processo alla Juventus, supportato da cronisti faziosi e preconcetti, per fortuna non i più autorevoli questa volta.

Cosa c'è da riformare? Forse la scarsa presenza della difesa nella formazione della prova, dando più respiro al dibattimento senza nascondersi dietro alla necessità di fare, come anche questa volta, in fretta per l'incombente inizio del campionato: si consenta almeno di sentire i testimoni-chiave e gli incolpati-accusatori in contraddittorio delle parti, se già il codice di giustizia sportiva non lo consenta.
Ma il problema principale sta prima della fase del giudizio. Perché alcuni ci arrivano senza prove a carico ed altri la sfangano con archiviazioni incomprensibili. Verrebbe da dire che, inserendo una figura di giudice sulle richieste di archiviazione o di deferimento, che valuti preliminarmente le richieste della Procura Federale, la situazione migliorerebbe.
Anche se si potrebbe obiettare che, pure senza questo giudice con funzione di filtro, la professionalità dell'accusatore federale sarebbe sufficiente a risolvere il problema.
Ma se la Procura Federale non fa nulla, non incrimina e non archivia, ma semplicemente ignora o tergiversa fino ad essere bruciata dalla prescrizione, non c'è riforma che tenga.
Per questo problema la risposta principale è affermare, senza ambiguità in fase applicativa, che al processo sportivo si applicano i principi dell'ordinamento penale e processuale penale, quantomeno quelli fondamentali, relativi alla obbligatorietà dell'azione inquisitoria, alla valutazione rigorosa della prova e alla regola di giudizio del favor rei, principio di civiltà giuridica irrinunciabile: in assenza di una prova certa, l'incolpato va assolto. In dubio pro reo.
Ma qualcosa del genere si trova già nel codice di giustizia sportiva ed anche nei provvedimenti della Procura Federale, solo che ad una loro declamazione formale corrisponde, a volte, una sostanziale disapplicazione in nome di una non chiarita autonomia del processo sportivo rispetto a quello penale.
Un altro problema concerne l'utilizzazione degli atti provenienti da indagini giudiziarie: se sono utilizzabili gli atti delle indagini preliminari del pubblico ministero, si devono necessariamente acquisire e utilizzare anche gli atti dei dibattimenti penali, dove avvengono il vaglio della bontà delle indagini preliminari e la formazione della prova, e non deve esserci dubbio che questi ultimi prevalgano sui primi.
E che dire del carosello dei patteggiamenti? Tre mesi se patteggi, tre anni se non lo fai! Una carta già preparata solo da firmare, con la clava impugnata nell'altra mano. Che roba è? Una ricerca, per via patteggiata, della prova mancante?
Non terzietà delle persone che valutano e giudicano? Semplice inadeguatezza? Non lo sappiamo e non conta saperlo, sappiamo che deve finire.
Probabilmente un sistema di giustizia sportiva riformato diventerebbe adeguato per il calcio dilettantistico, ma resterebbe comunque oggettivamente inadeguato per un calcio professionistico, dove la ricerca dell'etica e l'applicazione di sanzioni pesanti sul piano professionale, patrimoniale e societario richiederebbero un rigore e una credibilità che le istituzioni sportive non sono oggettivamente in grado di dare.
Una soluzione potrebbe stare nella sottrazione alla giustizia sportiva e l'affidamento alla magistratura ordinaria della competenza sulle sanzioni più gravemente incidenti sui diritti delle persone e delle società con tutte le garanzie della giurisdizione dello Stato. Inutile il ricorso al TAR a "babbo morto". Per fare un esempio, per richieste di sospensione dall'attività professionale di tesserati per oltre uno o due mesi, così come per penalizzazioni delle società superiori a x punti, o che comportino revoche di titoli sportivi o declassamenti di categoria, in considerazione dei gravi danni patrimoniali conseguenti le richieste finali della FIGC, potrebbero essere rivolte ad un giudice ordinario con un procedimento ad hoc.
Ma la FIGC rivendica la sua autonomia e si arrocca nella sua cittadella, una sorta di Stato nello Stato, con la pretesa di fare quel che vuole in nome dell'autonomia dello sport.
Abete ha garantito che gli organi di giustizia sportiva sono autonomi e indipendenti, parafrasando il principio costituzionale previsto per le magistrature ordinarie. Affermazione avventata e non vera, innanzi tutto perché quel principio non si riferisce alla giustizia sportiva, che è organismo disciplinare e non giurisdizionale, ma soprattutto perché autonomia e indipendenza non sono recepiti dall'ordinamento sportivo: con quali criteri vengono scelte le persone per ricoprire i ruoli della Procura Federale e dei vari gradi di giudizio? C'è un simulacro di concorso o di valutazione dei curricula e dei titoli degli aspiranti? Quali strumenti sono previsti, a loro tutela, in caso di rimozione o non riconferma nel ruolo?
Insomma, siamo in un altro mondo e il Presidente Abete parla di autonomia e indipendenza con molta approssimazione: non è un problema di stima personale nei confronti di chi ricopre in concreto dei ruoli, ma di garanzie formali ed astratte per la loro scelta e la loro tutela da ingerenze. L'attività degli organi di giustizia sportiva, nel sistema vigente, è invece per questi aspetti amministrativamente riferibile direttamente alla FIGC e al suo Presidente.
Del resto non sono mancate le iniziali critiche di Abete all'indirizzo eccessivamente premiante verso i "collaboratori", critiche poi diventate aperto sostegno alla Procura Federale per il suo operato. In entrambi i casi, abbiamo assistito ad una indebita ingerenza nell'operato di un organo autonomo e indipendente, oppure all'esercizio di una prerogativa amministrativa della FIGC e del suo Presidente? Diremmo la seconda.
Avevamo la consapevolezza che su Conte, Bonucci e Pepe non c'era assolutamente nulla di provato. Neppure una mezza prova. Non dovevano neppure andare a giudizio.
Questa volta i top players della FIGC erano Carobbio e Masiello, zero riscontri positivi sui fatti da loro narrati e innumerevoli riscontri negativi neppure considerati, e dall'altra parte il vaglio negativo della magistratura ordinaria, il diritto ed il buon senso.
In questo nuovo processo alla Juventus, imbastito in modo pasticciato dalla Procura Federale e col supporto consueto delle truppe mediatiche cammellate, in particolare stavolta degli ultras delle redazioni romane annusatori di scudetti zemaniani, la giustizia sportiva si è trovata al bivio: confermare la sua natura di organismo domestico e separato di natura essenzialmente politica, oppure ritrovare una parvenza minima di terzietà, che si ancori ai principi generali dell'ordinamento giuridico e che giustifichi l'appellativo di giustizia sportiva di cui si fregia.
Il discrimine passava su Conte, più che su Bonucci e Pepe, e non c'è bisogno di spiegare neppure perché.


Detto della Procura Federale, vediamo come si è svolto il processo davanti alla Commissione Disciplinare.

1) Patteggiamento di Conte, rigettato per esiguità della pena proposta
Si è letto da più parti che, anche nel processo penale, il rigetto di un patteggiamento non comporti l'incompatibilità del giudice a trattare il processo. Non si sa dove l'abbiano letto, visto che nella realtà avviene sempre l'esatto contrario: il giudice che rigetta il patteggiamento si spoglia immediatamente del processo per non essere ricusato.
Di fronte a un patteggiamento non condiviso il giudice ha tre possibilità:
a) ritenere che i fatti contestati, dati per veri, non costituiscano alcun reato, nel qual caso proscioglie direttamente l'imputato;
b) ritenere che la pena sia eccessiva, per cui rigetta il patteggiamento e si spoglia del processo;
c) ritenere che la pena sia esigua, per cui rigetta ugualmente il patteggiamento e si spoglia del processo.
Trasferendoci nel processo sportivo, sappiamo che la commissione disciplinare ha rigettato il patteggiamento, ritenendo la pena troppo bassa, di fatto escludendo l'ipotesi a (violazione insussistente per ragioni di diritto) ed anche l'ipotesi b (pena eccessiva). Di fatto è entrata già nel merito e poco importa se il giudizio sia allo stato degli atti, perché, se lo stato degli atti non subirà modifiche, si è già espresso sia sulla colpevolezza che sulla pena.

2) Ricusazione della Commissione Disciplinare
La difesa non ha preso bene la decisione della Commissione Disciplinare di trattare il processo, nonostante il rigetto del patteggiamento e, come avverrebbe nel processo penale se il giudice si comportasse allo stesso modo, ha presentato una istanza di ricusazione di quella Commissione, da inoltrarsi ad organo diverso super partes, come avviene anche nel processo penale.
La ragione è che, fondata o meno che sia la ricusazione, a decidere debba essere un giudice che non sia parte in causa.
Come sappiamo, invece, la Commissione ha ritenuto di decidere essa stessa, rigettando anche la ricusazione di se stessa.
Non discutiamo se l'abbia fatto secondo le regole della giustizia sportiva o meno, ma se la cosa sia sensata.

3) Istruttoria dibattimentale
Sono state rigettate anche tutte le istanze difensive di audizione in contraddittorio di vari soggetti, per cui il dibattimento si è limitato alla requisitoria del Procuratore Federale e alle arringhe delle difese. Ossia lo stato degli atti, valutato in sede di patteggiamento, è rimasto lo stesso sul quale la Commissione si era già espressa.

Si dirà, va bene, ma adesso si ritirano in camera di consiglio e, nel suo segreto, la riflessione e la coscienza di tutti i membri potrebbero portare a miracolose sorprese.
Analogamente all'idea che ci proviene dai processi penali, immaginavamo che, una volta entrati in camera di consiglio, si sarebbero isolati dal resto del mondo e, senza soluzione di continuità, non se ne sarebbero usciti fino a che non fosse maturata la decisione.
Niente di più sbagliato, ahinoi! Entrano ed escono con tutto comodo, interrompendo i loro lavori. Pazienza, è una giustizia molto sportiva. Non formalizziamoci.
In ogni caso la riservatezza dovrebbe essere garantita.
Ma non hanno messo in conto che i giornalisti sportivi sono degli autentici segugi e, fin dal primo giorno, è cominciato "Tutta la sentenza minuto per minuto".
Si è andati da "Proscioglimenti pesanti in arrivo" (Binda, Gazzetta su Twitter) ad anticipazioni varie di condanna su Conte, ora certe, ora solo possibili (Galdi, Gazzetta; Autori Vari, Corriere dello Sport e Repubblica). Insomma, ci deve essere stato dibattito anche sulla condanna di Conte. Meno importanti i proscioglimenti di Bonucci e Pepe, scontati dopo le rincorse della Procura Federale per farli patteggiare.
Voci, soltanto voci in uscita dalla camera di consiglio, finché non è giunta l'ufficialità: il vicedirettore della Gazzetta, Ruggiero Palombo in persona, ha comunicato via radio il proscioglimento di Bonucci e Pepe e la squalifica di Conte per 10 mesi. Notizia certa, la Commissione starebbe ancora scrivendo, dice orgoglioso dello scoop attribuito ai suoi agganci dentro la Commissione, ma la decisione è presa.
La comunicazione della Commissione seguirà nei prossimi giorni, ovviamente.
Il problema però non è soltanto quello delle voci in uscita dalla camera di consiglio, perché se sono possibili queste, sono possibili anche voci in entrata, ossia condizionamenti o ingerenze di chi non avrebbe titolo per mettere bocca nelle decisioni della Commissione.
Singolare è il silenzio del Presidente Abete su questa linea diretta con la stampa. Probabilmente non ci troverà niente di strano. Ma non ha da lamentarsi, almeno, di essere stato tenuto all'oscuro, a differenza dei giornalisti, dei lavori della Commissione riunita in camera di consiglio?
Una piccola nota di colore finale: se il dottor Palombo ha ambizione di uno scoop da premio Pulitzer, ripeta l'operazione, questa volta tacendo le fonti, con la camera di consiglio di un processo penale, uno qualunque, un'ingiuria tra condomini con pena a 100 euro di multa. Scommettiamo un euro che non l'azzecca.